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La subdola Congiura dei Pucci contro il Potere dei Medici a Firenze

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Firenze, 2 gennaio 1560. Ad una delle finestre del Palazzo del Bargello, il severo palazzo sede dell’omonima magistratura del ducato mediceo preposta agli arresti, agli interrogatori e alle esecuzioni, si consumò uno degli ultimi atti di una congiura. Chi passava di lì avrebbe potuto vedere il corpo del povero Pandolfo Pucci pendere dalla facciata appeso a una corda ormai senza vita.
La congiura poteva dirsi conclusa. Il Duca Cosimo I de’ Medici, poteva dirsi soddisfatto e al sicuro. Lo immaginiamo assistere alla scena, attorniato dalle sue guardie e dal suo seguito, e in compagnia del suo uomo di fiducia, Lorenzo Corboli. Ma cosa portò a questo evento?
Il Potere di Cosimo, Duca di Firenze
Cosimo, figlio di Giovanni delle Bande Nere, apparteneva a un ramo cadetto della famiglia dei Medici, quello “Popolano”, anche se sua madre, Lucrezia Salviati, era una nipote di Lorenzo il Magnifico, dunque appartenente al ramo principale della famiglia, quello di Cafaggiolo.
Alessandro de Medici detto il Moro, suo predecessore, era figlio illegittimo di un altro nipote del Magnifico, il suo omonimo Lorenzo, che fu Duca d’Urbino e padre di Caterina, regina di Francia tramite il matrimonio con Enrico II. Nel 1537 Alessandro fu ucciso da un parente, Lorenzino de Medici, e fu così che le autorità cittadine scelsero il diciassettenne Cosimo, giovane e, in teoria, manipolabile.
Ma, nonostante la sua età, il nuovo duca era tutt’altro che uno sprovveduto, e il suo governo, anche se attento al benessere dei sudditi, fu fin da subito piuttosto autoritario. Per questo egli temette sempre per il suo potere e per la sua testa.
La storia della famiglia Medici è, del resto, costellata di esilii, tumulti ed omicidi. Avevano acquisito ricchezze enormi e il totale dominio sulla repubblica fiorentina, dunque, era più che normale che qualcuno tentasse di rovesciarli: una potenza del genere non poteva che suscitare invidie e velleità di rivalsa.
Appena salito al trono, Cosimo dovette respingere l’assalto di Filippo Strozzi e dei suoi sodali che avevano messo su un esercito nell’intento di restaurare l’antica repubblica. Alla fine Cosimo ottenne una vittoria pressoché totale: il 2 agosto 1537 prevalse sull’esercito repubblicano a Montemurlo. Filippo Strozzi sarebbe morto di lì a poco nella sua cella della Fortezza da Basso, forse suicida forse ucciso mentre i suoi figli avrebbero dovuto prendere la strada dell’esilio. Poteva dunque dirsi relativamente al sicuro. Ma non era così…
Durante i primi anni del suo governo si affrettò a consolidare la sua autorità costruendo fortezze nelle principali città a lui assoggettate e nei luoghi strategici, ma continuò anche a…guardarsi alle spalle.
Nel 1548, dopo anni di ricerche, riuscì a far uccidere Lorenzino de’ Medici, il già ricordato assassino del suo predecessore, per vendetta ma anche per timore di essere il prossimo a morire.
Qualche anno dopo il pericolo arriverà dalla vicina Siena, all’epoca una repubblica indipendente. Piero Strozzi, figlio di Filippo, fu nominato dal re di Francia capo delle truppe francesi che stanziavano a Siena. Il suo allarme fu massimo: non solo, infatti lo Strozzi bramava di vendicare il padre, ma era anche sponsorizzato dalla regina di Francia, Caterina, che apparteneva, come detto, al ramo principale della famiglia dei Medici.
Voleva forse spodestarlo, considerando di essere più nobile di origine? Voleva mettere sul trono ducale lo Strozzi? Anche per questo motivo, con ogni probabilità, aveva aiutato l’imperatore Carlo V nella conquista di Siena e del suo stato. Ancora un altro pericolo scampato, ma Cosimo, forse memore della lezione di Damocle e della spada attaccata a un crine di cavallo che pende sempre minacciosa sul capo di un potente, pensava sempre a un qualche nemico nascosto nell’ombra e pronto ad agire. E aveva ragione.
Pandolfo Pucci
La famiglia Pucci, ricchissima, aveva vissuto quasi in simbiosi con i Medici al potere. Loro strettissimi alleati e collaboratori, erano stati ricompensati con cariche e beni, sia civili che ecclesiastici. Il loro palazzo, che ancora oggi si erge a Firenze nella centralissima Via dei Servi, è uno splendido esempio di questa opulenza.
E in questo contesto appare la figura di Pandolfo Pucci, ricchissimo ma anche dissoluto e viziato. Era nato nel 1509 e aveva fin da giovane avuto una vita spericolata, dedita a bagordi e vizi di tutti i tipi, che lo aveva portato ad avere molti guai, sia finanziari sia giudiziari, tanto da finire in carcere nel 1541 “per causa infame di vituperevole vizio” [C. Trevisani, La congiura di Pandolfo Pucci, p. 155]. Il Duca, amico personale di famiglia e suo, lo aveva sempre tirato fuori dai pasticci. E questo, invece di accrescere l’affetto e la gratitudine, fece nascere in lui rancore e invidia verso Cosimo.
Nel 1555, poi, conclusa vittoriosamente la guerra di Siena, con ogni probabilità, il sentimento antimediceo e repubblicano di alcuni nobili fiorentini si acuì. Del resto Cosimo de’ Medici stava raggiungendo l’apice della sua potenza, sia in patria che al di fuori di essa, soprattutto alla corte imperiale di Carlo V.
Non avendo dati certi, possiamo solo ipotizzare che al nobile Bertoldo Corsini, fratello della madre di Pandolfo, fosse scappata una parola di troppo contro il governo, e per questo fu decapitato in Piazza Sant’Apollinare. Questo atto fu visto come un affronto personale da Pandolfo: il tiranno aveva fatto uccidere un suo parente!
L’odio e il risentimento deflagrarono, trovando terreno fertile in una ristretta cerchia di amici di Pandolfo: fra gli altri, Puccio Pucci, suo parente; Astoldo Cavalcanti, esponente di una storica famiglia (ricordata da Dante) di fede repubblicana; Lorenzo de’ Medici, appartenente a un ramo collaterale della famiglia una volta molto potente politicamente; Riccardo Milanesi e Bernardino Corbinelli, due giovani animosi. Tutti erano intenzionati a eliminare il Duca.
La Congiura Prende Corpo
In questo complotto si inserì ancora una volta con grande abilità Caterina de Medici, paladina del fuoruscitismo fiorentino, con il supporto interessato di una famiglia tradizionalmente legata alla monarchia transalpina: i Farnese.
Ottavio Farnese, duca di Parma e di Castro (nel viterbese), era in quel periodo in forte difficoltà. I Gonzaga, Signori di Mantova e in quel momento governatori di Milano per conto dell’Imperatore, miravano al possesso di Parma e Piacenza e avevano ucciso otto anni prima suo padre, Pierluigi, e poi avevano invaso i suoi domini, infliggendogli negli anni pesanti sconfitte. I Farnese, con l’intenzione di recuperare i territori persi durante la guerra, si erano buttati anima e corpo nella causa francese.
C’era forse anche un altro motivo per appoggiare la congiura antimedicea. Ottavio Farnese aveva sposato Margherita d’Austria, figlia illegittima di Carlo V e vedova di Alessandro de’ Medici. In virtù di questa sua parentela acquisita, probabilmente sentiva di avere dei diritti su uno degli stati italiani più potenti di allora. Magari si immaginava a capo di un grande stato che andava da Castro a Parma. Un’occasione unica per accrescere, e di molto, i propri domini e il proprio prestigio!
Il fratello di Ottavio, il Cardinale Alessandro, in quel momento caduto in disgrazia presso la corte papale di Giulio III e rifugiato proprio a Firenze, entrò nell’organizzazione della congiura, fornendo i mezzi che servivano. E il lavorio di Pandolfo Pucci e dei suoi compagni diede i suoi frutti: furono elaborati non uno ma tre piani per portare a termine l’operazione.
Nel primo Puccio Pucci, provetto tiratore con l’archibugio, affacciandosi ad una finestra della propria abitazione, avrebbe dovuto freddare il Duca mentre transitava con il suo seguito. Nell’altra soluzione Pandolfo avrebbe dovuto sfruttare la sua possibilità di avvicinare Cosimo per sferrargli colpi mortali con il proprio pugnale. C’era poi la terza opzione, quella più drastica: collocare una carica esplosiva di polvere da sparo nella sua residenza e far saltare tutto durante la messa.
La Congiura fallisce
Pandolfo Pucci al momento di agire tergiversò, pieno di dubbi. Puccio Pucci, per quanto bravo tiratore, poteva sbagliare, vanificando tutto. Poi conosceva Cosimo: era un valente uomo d’arme…lo avrebbe potuto battere? Infine si rendeva conto della difficoltà di porre una carica esplosiva nel palazzo del Duca, certamente ben sorvegliato. Pandolfo certamente pensava che Cosimo, in fondo, era un suo amico di famiglia, una persona che in passato lo aveva aiutato…Voleva veramente ucciderlo?
Il dubbio e la paura lo divoravano. Andò a Roma per consultarsi con gli esuli fiorentini, la voce si sparse. Il potentissimo Vescovo di Arras, Antoine Perrenot de Granvelle, agente e consigliere dell’Imperatore e suo diplomatico presso la Santa Sede, venne a sapere di un qualche complotto ai danni di Cosimo. Non conosceva né nomi né altri particolari, ma tanto bastava per avvertire il Duca nel guardarsi ulteriormente le spalle e rafforzare la propria guardia personale. Per i congiurati i mesi passavano nell’inattività, limando e rielaborando dei piani che assomigliavano sempre più a una missione impossibile. Immaginiamo che cercavano anche il coraggio per correre un così grande rischio, ormai disillusi.
Nel settembre del 1556, infine, il colpo di scena. Ottavio Farnese, recuperati i territori persi e viste le crescenti difficoltà della Francia, trovò conveniente cambiare campo: passò dalla parte spagnola. Uno dei due principali sponsor del progetto si era dunque eclissato.
Anche la Francia, di lì a poco avrebbe fatto mancare l’appoggio. Nel 1559, stremata da sessant’anni di guerra con gli stati italiani e il Sacro Romano Impero (che ricordiamo sotto Carlo V comprendeva anche la Spagna), avrebbe stipulato con gli avversari (pure loro a corto di risorse) la pace di Cateau-Cambrésis. Per lo stato transalpino cominciava poi il duro e sanguinoso periodo delle guerre di religione.
Inoltre va aggiunto che Cosimo, che nel 1557 aveva ottenuto lo stato di Siena, era ormai all’apice del suo potere, con il sostegno della Spagna, che, praticamente, dominava la scena di quasi tutta la penisola italiana, con l’eccezione di Venezia e dello Stato Pontificio.
Aveva senso continuare?
La Congiura viene Scoperta
Dobbiamo pensare che il progetto di uccidere il Duca di Firenze dovette, nonostante le difficoltà, sopravvivere. E’ comunque certo che non fu dimenticato, né da chi lo progettava né dalla vittima. Nel 1559 Cosimo I de’ Medici nominò segretario degli “Otto di Guardia e di Balia”, la polizia giudiziaria del suo governo, un personaggio da novanta nel campo delle repressioni: Lorenzo Corboli. Nato a Montevarchi nel 1514, costui era un “uomo crudele e sanguinario, e perciò odiatissimo” [C. Trevisani, La congiura di Pandolfo Pucci, p. 65]. Pure l’aspetto era consono al personaggio. Anche se di lui non abbiamo ritratti in qualche quadro o incisione, possiamo affidarci a quelli letterari: era “di una fisionomia apertamente sinistra, nella quale si leggeva la pravità del cuore e la durezza dell’animo, venduto al più vile interesse” [C. Trevisani, La congiura di Pandolfo Pucci, p. 241].
Era talmente tanto celebre nella Firenze del tempo, che divenne una figura proverbiale: i corbolisti erano “quei giudici stati sotto di lui, e che camminavano sulle sue pedate” [C. Trevisani, La congiura di Pandolfo Pucci, p. 65]. Un vero e proprio mastino, a quanto pare.
E il Corboli si mise subito all’opera: gli fu affidato proprio il compito di indagare sulla congiura che dava tanti grattacapi al Duca di Firenze.
Non fu difficile arrivare a capire che Pandolfo Pucci era coinvolto in qualche modo nella faccenda. Le voci che aveva sparso negli anni, magari condite da qualche spacconeria, lo resero una facile preda. Il problema era farlo confessare, adesso.
Ma il Corboli, furbescamente, trovò soluzione: durante un interrogatorio in cui Pandolfo ammetteva soltanto i suoi vizi giovanili, gli rivelò falsamente che altri suoi complici avevano già parlato e che il Duca era a perfetta conoscenza di quanto stesse tramando. Se voleva la grazia, doveva confessare tutto e subito. Anzi, aggiunse, che Cosimo voleva graziarlo, a patto che dicesse tutto quanto [S. Ammirato, Istorie fiorentine di Scipione Firenze, 1827, Vol. 11, pp. 236-237]. E così Pandolfo, nella disperazione del momento (magari “aiutato” da qualche forma di tortura, non rara al tempo…), cercò di salvare se stesso confessando il suo crimine e i nomi dei complici. E fu la sua fine. Furono tutti quanti arrestati.
Il 2 Gennaio 1560 Pandolfo pendeva appeso per una corda a una finestra del Palazzo del Bargello, come monito. Nel cortile dell’edificio tre congiurati che abbiamo già incontrato, Astoldo Cavalcanti, Lorenzo de’ Medici e Puccio Pucci, vennero decapitati, mentre altri due, Riccardo Milanesi e Bernardino Corbinelli, fecero perdere le loro tracce, fuggendo da Firenze. I beni mobili e immobili di tutti quanti furono sequestrati.
Cosimo poteva dirsi relativamente al sicuro. I cospiratori erano tutti morti e la famiglia Farnese, ora sua alleata, non costituiva più una minaccia al suo potere, e, per questo motivo, non fece pubblicare i verbali delle confessioni. Privatamente, tuttavia, se ne lamentò tramite una lettera a Filippo II, re di Spagna. Il Cardinale Farnese, scrisse, era sotto la sua protezione e ciononostante si era dimostrato ingrato, avendo fornito archibugi e polvere da sparo per farlo uccidere con la complicità di suo fratello Ottavio. [J. R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze, 1822, p. 269].
Il Duca fu al tempo stesso molto soddisfatto per i risultati ottenuti dal Corboli, tanto da ricompensarlo donandogli la casa confiscata a Puccio Pucci. Tuttavia pose una condizione al suo uomo di fiducia: la finestra da cui il congiurato doveva sparargli avrebbe dovuto essere murata, per sempre.
E tutt’ora la possiamo vedere chiusa, a ricordo dell’evento, forse per scaramanzia e sicuramente per monito.
La Seconda Congiura dei Pucci
Alcuni anni dopo gli eventi descritti, un altro membro della famiglia Pucci fu protagonista di un secondo tentativo e di rovesciamento del governo fiorentino. Orazio, figlio di Pandolfo, tramò di uccidere tutti i figli di Cosimo, per vendicare la morte del padre. Non avendo gli stessi appoggi politici, il progetto non fece però molta strada, pur rimanendo segreto a lungo.
Nel 1575, quindici anni dopo le prime esecuzioni, la voce arrivò alle orecchie del Cardinale Ferdinando dei Medici, fratello di Francesco I, primogenito di Cosimo e salito al potere del Granducato di Firenze da soltanto un anno. Il Granduca Francesco, memore della lezione del padre, si affidò ancora una volta al già collaudato Lorenzo Corboli, tristemente famoso per la durezza dei suoi interrogatori e delle sue condanne. E lui agì: in poco tempo furono individuate venti persone che in qualche modo avevano a che fare con il complotto.
Orazio Pucci fu decapitato, altri finirono impiccati, alcuni riuscirono a fuggire. La confisca dei beni colpì ancora una volta, fruttando circa trecentomila ducati. Molti parenti di Pandolfo e Orazio, pure se del tutto estranei a questa vicenda, furono costretti all’esilio, anche lontano dalla Toscana. Possiamo dire che con questa ulteriore repressione il governo mediceo dominò saldamente Firenze e il suo stato per molti anni a venire.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV. – Archivio storico italiano, Olschki, 1883
Adriani, Giovan Battista – Istoria de’ suoi tempi, Prato, 1823
Ammirato, Scipione – Istorie fiorentine, Firenze, 1827
Arditi, Bastiano Cantagalli, Roberto – Diario di Firenze e di altre parti della cristianità (1574-1579), Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1970
Berti, Luciano Il principe dello studiolo. Francesco I dei Medici e la fine del Rinascimento fiorentino, Firenze, Edam, 1967
Galluzzi, Jacopo Riguccio Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze, 1822
Tiribilli-Giuliani, Demostene Sommario storico delle famiglie celebri toscane, Firenze, 1864
Trevisani, Cesare La congiura di Pandolfo Pucci, Firenze, Le Monnier, 1852
SITOGRAFIA


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