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Hersh: Oslo arruolata dagli Usa già in Vietnam. L’altra Norvegia: dal nazista Breivik al sabotaggio del Nord Stream

#24Febbraio  #Visioni  #11settembre  #AndersBehringBreivik  #ApocalypseNow 

Contenuto originale di Visione TV
Se ne intende eccome, Seymour Hersh, di strategia militare. Non a caso, gli hanno conferito il Pulitzer proprio per i suoi storici reportage bellici. Denunciò i peggiori abusi statunitensi, come quelli perpetrati in Vietnam. A proposito: è giusto la giungla di Apocalypse Now a tornare d’attualità. Acque calde, stranamente collegate a quelle – freddissime – del Baltico, dove l’esplosivo ha reciso il cordone ombelicale energetico tra Europa occidentale e Russia.
Un attentato-fantasma, quello del 26 settembre scorso: compiuto da fantasmi, su ordine di altri spettri. Quelli che vanno in giro per il mondo predicando democrazia a suon di bombe. Chi lo dice? Sempre lui, l’americano Seymour Hersh. Le prove? Fonti d’intelligence. Così precise da dettagliare al millimetro il misfatto: progettato dagli 007 statunitensi e completato da unità norvegesi.
SEYMOUR HERSH: ATTACCHI CLANDESTINI DEI NORVEGESI IN VIETNAM
Per inciso, il paese scandinavo – grande produttore di gas – è il maggior candidato naturale a sostituire Mosca come super-fornitore europeo. E’ anche un grande affare, quindi, il sabotaggio del Nord Stream. Un “inside job” messo a segno da collaboratori insospettabili e – ecco la notizia – pure recidivi. Senza che nessuno lo sapesse, infatti, entrarono in azione accanto agli Usa già negli anni ’60, proprio in Vietnam, grazie alla loro specialità esclusiva: la capacità di condurre azioni fulminee, via mare.
All’inizio del 1964 – scrive Hersh – almeno due marinai norvegesi confessarono il loro coinvolgimento in attacchi clandestini condotti dalla Cia lungo la costa del Vietnam del Nord. L’escalation, affidata alle formidabili motovedette di Oslo, avrebbe portato al casus belli: l’incidente del Golfo del Tonchino, da cui l’inizio della guerra. Qualcuno sparò contro unità navali statunitensi? Certo non la flottiglia di Hanoi. Ma tanto bastò per accusare i vietnamiti e dare inizio all’inferno.
L’ALTRA NORVEGIA: INSOSPETTABILE E OSCURA
Ha davvero la stoffa del combattente, Seymour Hersh. Il suo primo scoop sul Nord Stream viene oscurato e ridicolizzato? Niente paura, lui ha già pronto il secondo siluro: il dossier segreto sull’apparizione dei fantasmi norvegesi al largo delle coste vietnamite. Perché proprio loro? Perché – spiega – all’epoca disponevano dei migliori pattugliatori marittimi: i più rapidi, efficaci e invisibili. Perfetti, quei motoscafi, per assestare colpi proibiti.
Il tempo è galantuomo, recita il vecchio adagio. A volte sembra proprio che si diverta, la storia, a presentare il conto alla distanza: magari dopo mezzo secolo. Ma la Norvegia non era solo il placido paese nordico dei salmoni, delle balene e degli orsi polari? No, a quanto pare: basta leggere i gialli di Jo Nesbø, autore di bestseller planetari, per intuire che probabilmente c’è un mondo parallelo, dietro quei fiordi da cartolina.
LA CARNEFICINA FIRMATA DAL NAZISTA BREIVIK
Un mondo oscuro, che vive all’insaputa dei placidi sudditi norvegesi: nei noir di Nesbø, su quasi ogni crimine si allungano le ombre inquietanti dei palazzi e dei loro apparati. D’accordo, si dirà: ma quelli sono soltanto romanzi, benché insolitamente ambientati nel paradiso naturale del grande nord. Non era uscito da un romanzo, invece, il fucile con il quale un uomo – il 22 luglio 2011 – sterminò decine di ragazzi inermi, sorpresi in un altro paradiso norvegese a due passi dalla capitale: l’isola di Utøya.
Suscitò orrore e sgomento, l’impresa di Anders Behring Breivik. Una mattanza, condotta con spietata freddezza: 69 morti e 110 feriti. Erano le nuove leve del partito laburista norvegese, che il killer – massone e nazista dichiarato – detestava. A quel partito imputava il dilagare dell’immigrazione islamica.
SIMBOLI OCCULTI, MASSONERIA E TENEBROSE RICORRENZE
Massone? Sì, lo era stato. Lo confermò la sua loggia (St. Olaus til de tre Søiler) che lo espulse subito dopo il massacro. Con loro, chiarì il “venerabile”, aveva avuto solo contatti sporadici. Lo si può credere, anche a giudicare dalle deliranti esternazioni dell’assassino, che si definì “salvatore del cristianesimo” nonché “il più grande difensore della cultura conservatrice in Europa dal 1950”.
Semmai, a colpire è la premeditazione del gesto: incubato, a suo dire, addirittura per nove lunghi anni. E infine programmato in una data che non ha l’aria di essere casuale: quei numeri “maledetti” (22, 11) sembrano lì apposta per lasciar ridondare altri tragici anniversari, dal golpe in Cile al crollo delle Torri Gemelle.
Quanto alla dichiarata fede “nazista” di Breivik, nel 2011 poteva sembrare al massimo uno scherzo di pessimo gusto. Mancava ancora qualche anno alla comparsa delle svastiche di Pravy Sektor a Kiev e Odessa. Non era ancora popolare, in Occidente, il comandante “kantiano” del battaglione Azov: quello che prendeva a cannonate i palazzi di Mariupol, gli ospedali, le scuole, i bambini condannati a morte da quell’altro galantuomo di Poroshenko, l’illustre predecessore di Zelensky.
Furono in tutto 77, le vittime di Breivik. Già, perché lo sterminio sull’isoletta fu preceduto da un’esplosione nel cuore di Oslo, costata da vita ad altri otto innocenti. L’autobomba l’aveva collocata proprio sotto la sede del governo. E chi era, il primo ministro? Lui, Jens Stoltenberg. Casualmente, oggi segretario generale della Nato.
FINE DELL’INNOCENZA PER LA SCANDINAVIA FELICE?
Tutto si tiene, in qualche modo? Non lo sappiamo. Sotto i riflettori c’è un gasdotto che salta in aria, nel Baltico. C’è la clamorosa denuncia di Seymour Hersh. E c’è il silenzio imbarazzato dell’Occidente. Che cosa racconteranno, ora, quelli che Giulietto Chiesa chiamava i Padroni del Discorso? Come spiegheranno le “vacanze vietnamite” degli incursori norvegesi, all’indomani dell’omicidio di John Kennedy?
Quello che sappiamo è che i giovanissimi militanti dell’allora partito di Stoltenberg sognavano un’altra Europa: quella che forse sarebbe nata, al posto di questa, se qualcuno (rimasto nell’ombra) non avesse assassinato a Stoccolma il primo ministro svedese Olof Palme, leader carismatico di tutti i socialisti democratici europei.
Che cosa racconta, questa brutta storia? Intanto, sporca la fedina politica della Scandinavia Felix: lo storico baluardo del welfare europeo, emblema della pace sociale, trasformato in trincea clandestina per guerre altrui, pericolose e insensate. Manovalanze opache, terrorismi, sabotaggi. Lo schema: prima si crea il deserto, poi si lascia crescere l’erba velenosa. Un killer, all’occorrenza, lo si può sempre rimediare. Meglio ancora se l’assassino ha le sembianze mostruose del macellaio solitario: sarà più difficile collegarlo agli eventuali mandanti.
GIORGIO CATTANEO


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