Fed, i verbali: rialzo tassi per portare inflazione verso 2%
#22Febbraio #Mondo
Contenuto originale di Il Sole 24 ORE - Mondo
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«Le proiezioni indicano che i tassi potrebbero raggiungere il 5,375%. Abbiamo bisogno che i tassi siano oltre il 5%». Parole da falco, quelle pronunciate ieri da James Bullard, governatore della Federal Reserve di St. Louis, conosciuto, tra i membri del board della banca centrale degli Stati Uniti, per essere uno dei più intransigenti. «L’economia americana è più forte di quello che ci aspettavamo», di conseguenza i mercati stanno «prezzando un cammino più difficile contro l’inflazione». La linea dura è emersa anche dai verbali dell’ultima riunione del Fomc pubblicate nella serata del 22 febbraio: «Con un’inflazione ancora ben al di sopra dell’obiettivo del 2% del Comitato e un mercato del lavoro che rimane molto teso, tutti i partecipanti hanno continuato a prevedere aumenti costanti dei tassi per raggiungere l’obiettivo».
Da qualche seduta anche il mercato azionario pare averlo capito. I messaggi che a inizio febbraio avevano lanciato il mercato obbligazionario - con rendimenti nuovamente in rialzo tanto sulla parte breve quanto su quella lunga della curva - e il mercato dei tassi - con i futures sui Fed fund che hanno cancellato il taglio dei tassi nell’ultima parte dell’anno - ora sembra siano arrivati anche agli investitori azionari, più emotivi e più soggetti a quell’impeto che l’economista John Maynard Keynes definiva “animal spirits”. L’indice S&P 500 è scivolato da un recente picco a 4.200 punti sotto i 4mila accompagnato dal tecnologico Nasdaq100 che vacilla sui 12mila punti. Rispetto ai nastri di partenza di inizio anno siamo sempre più in alto (rispettivamente del 4% e dell’8%) ma i ripetuti moniti dei banchieri centrali delle ultime settimane sembrano aver fatto breccia anche nella parte più speculativa del mercato. Come testimonia l’andamento dell’Etf sulle “meme stocks” (titoli con dubbio valore intrinseco bazzicati più che altro dai retail trader della vasta community di Reddit) che dopo u+n balzo del 50% da inizio anno è in corso di ritracciamento.
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Nel frattempo la volatilità si sta riprendendo la scena. Il Vix, che era sceso fin sotto i 18 punti in stile scenario “Goldilocks economy”, è balzato oltre i 23 punti. Nulla di eclatante ma se non altro si tratta di valori più consoni rispetto a un mercato che a questo punto pare aver finito la benzina per puntare tanto più in alto. Questo non vuol dire automaticamente che dovrà scendere ma che certamente dovrà scontrarsi con un contesto più complicato. La narrazione della “disinflazione immacolata” con annessa “recessione scampata” potrebbe trovare diversi ostacoli all’orizzonte. A partire dalla stessa inflazione, che si sta rivelando più appiccicosa del previsto come hanno ad esempio dimostrato gli ultimi dati in rialzo sui prezzi alla produzione negli Usa. Ed ecco perché il mercato ha rapidamente cancellato il pivot, l’inversione della politica monetaria che andava per la maggiore fino a poche settimane fa con i futures che scontavano tassi in discesa a dicembre al 4,5%. Ora invece i futures su dicembre stampano un 5,2%, gli stessi livelli di giugno. I mercati stanno quindi gradualmente passando dallo scenario “soft landing” a quello “h4l”, ovvero “higher for longer”, ovvero tassi alti ancora a lungo. Medicina essenziale per scontrarsi con la resilienza di un’economia che, foraggiata nel 2021 da stimoli fiscali e monetari senza precedenti, adesso fa fatica a perdere muscolarità e quindi a lasciar andare una volta per tutto lo spauracchio inflazione.
Nel riprezzare le probabilità di uno scenario “higher for longer” gli investitori stanno vendendo le obbligazioni per adeguare i tassi un po’ più in alto. La scadenza a due anni si è riportata al 4,7%, massimo di questo ciclo economico. Ancora più clamoroso quel 5% toccato dai titoli con scadenza a 6 mesi che è andato ad eguagliare gli earnings yield dei titoli dell’S&P 500. Un aggancio di tale portata non si vedeva dal lontano 2001 (si veda grafico in basso) e, in parole semplici, sta a significare che in questo momento la liquidità a rischio zero (rappresentata da un titolo governativo Usa a 6 mesi) offre lo stesso rendimento del mercato azionario. Qualche gestore si starà chiedendo se abbia quindi senso esporsi nell’equity a queste profonde condizioni di incertezza (tassi reali positivi per 150 punti base comunque sono lì a deteriorare lentamente l’economia e le prospettive degli utili societari) a fronte di una remunerazione così alta della liquidità.
Un bel dubbio che rimbalza anche in Europa dove i listini dallo scorso ottobre hanno messo a segno un magistrale +40% e dove i tassi a due anni (tanto in Germania quanto in Italia) hanno aggiornato nelle ulime ore i nuovi massimi di questo ciclo economico portandosi rispettivamente al 3% e al 3,6%. L’economia è forte anche in Europa (tra i vari dati il 22 febbraio è stato pubblicato l’indice Ifo Business Climate tedesco salito a 91,1 punti a febbraio rispetto ai 90,1 punti di gennaio) ma non è detto che sia un bene. Per i mercati e, soprattutto, per la lotta definitiva all’inflazione.