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Sanremo, il festival dell’opposizione

#09Febbraio  #Politica  #amadeus  #mattarella  #sanremo 

Contenuto originale di LO_SPECIALE
Sanremo è diventato il festival di chi ha perso le elezioni. Un’atmosfera da sorda rivincita percorre la manifestazione (non solo) canora edizione 2023. È come se l’Italia fosse ancora quella degli anni Settanta-Ottanta, quando Roberto Benigni prendeva in braccio Enrico Berlinguer e le Feste dell’Unità straripavano dall’ambito strapaesano e quasi si istituzionalizzavano, visto che, come si recitava nel bla bla dell’epoca, il “mondo va a sinistra”.
Questa potrà essere ricordata come l’edizione dei miracoli. Ne possiamo registrare almeno due. Miracolo uno: Mattarella trasformato in icona pop. Miracolo due: Amadeus trasformato in eroe della resistenza, anzi della “nuova resistenza”, come salmodiava oggi su “la Repubblica” Francesco Merlo. E poi tutta una gran goduria progressista per il fatto che Giorgia Meloni e il governo sono stati costretti a ingoiare il rospo, con l’eccezione di Matteo Salvini, che proprio non ce l’ha fatta a rimanere in silenzio e ha cominciato a sparare ad alzo zero sull’Ariston, su Mattarella, sulla Enogu e su tutto il palcoscenico, rimpiangendo il tempo in cui a Sanremo si pensava solo alle canzonette e si eleggevano i motivetti orecchiabili che avrebbero accompagnato le giornate di giovani e meno giovani.
Mal gliene incolse. Fulgido, come un eroe del realismo socialista e della cinematografia di Francesco Rosi e Citto Maselli, è apparso lui, Amadeus, il nuovo partigano, che ha scagliato contro l’incauto Matteo tutta la sua democratica indignazione. Se Sanremo «non le piace, si guardi un film», gli ha sparato contro l’intrepido showman. Sai che coraggio, sai che potenza. Tanto è bastato per assicuragli gli sdilinquenti commenti delle penne politicamente corrette. «Una risposta affilata», ha certificato Renato Franco sul “Corriere della Sera”. Di Merlo si è già detto. Basterà solo aggiungere che il sapido corsivista gli ha dedicato una intera pagina di complimenti, attribuendogli più «nerbo» di Enrico Letta. Ma non ci vuole granché.
Pd e progressisti perderanno pure le elezioni, però con Sanremo fanno il 62,5 per cento di share: così dicono gongolando i seguaci del duo Amadeus-Morandi. E tali numeri vanno esibiti anche davanti a quegli sfrontati consiglieri d’amministrazione Rai che si sono lamentati per non essere stati consultati a proposito della partecipazione del capo dello Stato alla manifestazione di Sanremo. Godetevi la poltrona e fate silenzio. Non siete stati avvertiti «per motivi di sicurezza», fanno sapere dal Colle, neanche cinque membri del cda Rai fossero una cellula dell’Isis.
Ma, appunto, si diceva di Mattarella trasformato in icona pop. L’inno di Mameli come “Volare” di Modugno. Gianni Morandi che lo intona con un groppo alla gola. Che brivido, che emozione, che momenti edificanti, volete mettere?
Va da sé che il vero artefice del “miracolo” è stato in realtà Roberti Benigni, colui che trasforma i leader politici in personaggi pop. Non lo fece solo con Berlinguer. Lo fece anche con Walter Veltroni. La cerimonia di incoronazione consiste per lui nel prendere in braccio l’autorevole personaggio. Con Mattarella non lo poteva fare, altrimenti gli agenti della sicurezza presidenziale lo avrebbero fatto volare per tutto il palcoscenico dell’Ariston.
Allora il giullare premio Oscar ha pensato bene di infilare una battuta dietro l’altra davanti a un rilassato presidente. Ma, soprattutto, gli ha fatto cosa gradita facendo l’apologia della Costituzione. La resistenza ce l’ha data e guai a chi ce la tocca. Guai alla Meloni se si azzarda a introdurre il presidenzialismo. E poi attenti a non intaccare, l’articolo 21, sulla libertà di espressione, il «pilastro di tutte le libertà». Chi ha orecchie per intendere…
Resta solo da chiedersi perché la storica epifania di un presidente della Republica a Sanremo e l’elogio della Costituzione tra canzonette, fiori e gags siano avvenuti, guardacaso, proprio nell’anno primo di un governo di destra-destra. Già, perché?
Non pretendiamo che lorsignori ce lo spieghino. Sono troppo impegnati a celebrare l’ideale di un’Italia che non c’è più. Se la godranno fino a sabato. Da lunedì, quando si apriranno le urne di Lombardia e Lazio, l’opposizione tornerà alla dura, anzi durissima, realtà. E il vero festival ricomincerà per gli altri.


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